Avete presente il meme del chill guy? Se avete Tiktok, penso che anche coloro a cui il nome non dice nulla abbiano visto almeno un video: è il trend del momento, protagonista di migliaia di meme, e sta ormai cominciando a diffondersi anche su altre piattaforme social. Per chi non lo conoscesse, i meme del chill guy hanno come soggetto un personaggio marrone a metà tra il cane Brian dei Griffin, Pou e la Roblox face, il quale incarna la calma e la noncuranza con cui si affrontano situazioni teoricamente problematiche o caotiche.
Un esempio con piú di 600 mila views é “Non puoi prendertela con me perché mi hai detto quello che mi sono scordato 10 secondi fa, sono solo un ragazzo nel chill che si dimentica le cose ogni tanto”: l’immagine standard è il semplice personaggino marrone, immerso di solito in ambienti all’aperto e pacifici ed accompagnato da una canzoncina lenta e gradevole.
Per quanto le versioni del “chill guy con le mani in tasca” siano numerose e parecchio variegate, il messaggio di fondo rimane comunque sempre il medesimo: quello di affrontare le sfide della vita con “chill”, ossia con calma e spensieratezza.
In fondo la popolarità del trend è in parte dovuta, paradossalmente, all’impopolarità del pensiero che vi si trova dietro. La società odierna sembra infatti negare completamente il messaggio del “chill guy”, proponendo piuttosto un modello sociale di interazione e di esistenza fondato sull’intransigenza della pragmaticità e del lavoro. Continuamente siamo sommersi di aspettative che ci costringono a “correre” (per gli universitari l’esempio lampante è il senso di fallimento che si potrebbe provare nell’essere “fuori corso”) e piuttosto che “chillarcela” siamo vittime di una costante pressione sociale finalizzata al successo. D’altronde, negli ultimi decenni, in
cui con l’ascesa dei social è cresciuta la “connettività” (ossia letteralmente la capacità di essere al centro delle reti di connessione, più metaforicamente potremmo definirla come la capacità di costituire relazioni ramificate, che siano esse profonde o superficiali), ci si ritrova a vivere in un mondo appiattito al livello dell’apparenza e del “like”, in cui si cerca a tutti i costi di piacere. Istituzioni e comportamenti sociali del XXI secolo hanno così finito per esasperare quei bisogni di appartenenza e stima che Maslow, psicologo del Novecento, inseriva nella Piramide delle necessità umane.
In ogni caso, la riflessione stimolata dal meme è ben più ampia: discutere solo sul perché il “chill guy” sia in distonia con la società in cui viviamo risulta riduttivo, poiché è già stato proposto da numerosi articoli ed indagini di ricerca (per quanto con focus diversi dai trend di Tiktok).
Come mai oggi si avverte questa tendenza contraria rispetto alla società? Perché oggi diventano popolari i trend che esaltano degli stili di vita più tranquilli e leggeri?
Il meme del “chill guy” si inserisce a tutti gli effetti in quella che viene definita negli ultimi anni la “chill culture”. Si tratta di un fenomeno culturale che si è diffuso largamente nel XXI secolo, affiancando l’emergere sempre più prepotente di tendenze post-capitaliste, o persino anti-capitaliste.
Per quanto siamo immersi all’interno di un sistema socio-economico capitalistico, infatti, oggi più che mai risultano evidenti i limiti di tale assetto e le ultime generazioni si sono fatte spesso portavoci di istanze politiche alternative. Dopo gli anni ‘90 e l’inizio della terza ondata della globalizzazione, il capitalismo ha raggiunto uno dei suoi (numerosi in realtà) apici, non essendo più frenato dalla validità del welfare state ed inserendosi in una dinamica di pura economia di mercato, estremamente liberista. Questa trasformazione, accompagnata dalla fine della Guerra fredda, ha poi condotto a molteplici conseguenze, oggi rilevabili.
Da una parte, ha generato una mentalità capitalistica ancora più pungente e totalizzante, che ha poi parzialmente portato alla crisi del 2008 e che ha trovato un respiro ancora più ampio con l’arrivo di internet e dei social, i quali hanno permesso a tutti gli effetti un’evoluzione del capitalismo verso il controllo dell’informazione e verso la psicopolitica.
Dall’altra, la mentalità del libero scambio ha indotto un aumento delle disuguaglianze (prima monitorate dal welfare state e da più accordi internazionali di trattamento individualizzato per i paesi in via di sviluppo) e delle problematiche globali, aggravando le condizioni sociali tra le nazioni e dentro le nazioni.
Questo intero processo ha comportato dunque certamente un’espansione del modello capitalista, che ha assunto forme più variegate, ma al contempo ha necessariamente incrementato la sensibilità civile in materia sociale. Questo discorso ha poi assunto una dimensione ancora più notevole dopo la Grande Recessione del 2008. Di fronte a questioni che, nel frattempo, per cause anche legate alla globalizzazione, sono diventate sempre più mondiali (e non più nazionali, come la crisi climatica, le crisi economiche, pandemiche, ecc.) la reazione nei confronti del capitalismo (proprio di quel sistema che era causa di tutti quei fenomeni
e che nel contempo stava diventando sempre più “violento”) è stata molto aspra e ha radicalizzato fortemente le tendenze anti-capitaliste in particolare della società occidentale.
E’ qui che allora torna nel discorso il “chill guy”. Perchè è diventato famoso? Semplicemente, si è inserito all’interno di una dinamica che ha in realtà corpo da molto più tempo, ossia il tentativo delle ultime generazioni di indebolire e frammentare l’intransigenza capitalistica, ormai percepita sempre più soffocante. Ormai si stanno affermando tendenze post-capitaliste che sempre più si distaccano dalla mentalità diffusa: si denuncia idealmente il consumismo portando in risalto servizi vintage, di sharing o di second-hand, si valorizza la salute mentale, si perseguono desideri di autenticità in un mondo sempre più superficiale, si critica quell’etica del sacrificio ereditata dal capitalismo borghese ottocentesco e si ricerca uno stile di vita lavorativo meno rigido ed insensibile. Sono sempre di più le persone ad investire in contenuti che valorizzino la lentezza e il benessere: sui social ormai sono diventati popolarissimi gli ASMR, i video di chiropratici e osteopati, quelli ispirazionali e dei rumori bianchi, che certamente appartengono al modo di pensare (ed al modo di fare consumo) della “chill culture”. Al contempo questa trasformazione culturale si sta espandendo anche al mondo economico: diverse aziende, capitanate da Adobe, stanno cominciando a creare degli spazi di lavoro e di vita di comunità in ufficio ben più flessibili ed accattivanti della sola razionalità e pragmaticità industriale.
Certamente il “chill guy” è un meme, ma riflettere su quello che i social ci mostrano ogni giorno e sul perché i trend assumono tanta popolarità può in realtà svelare importanti tratti dei cambiamenti di pensiero oggi in atto. Ed il “chill guy”, a questo proposito, smaschera una dinamica che determinerà indubbiamente le generazioni del futuro.