Nonostante l’orrore e i crimini commessi a Gaza, l’Italia ha sempre mantenuto una posizione che definire ambigua è a dir poco, e che anzi si potrebbe considerare complice, visto anche il commercio di armi che continuiamo a mantenere con lo Stato d’Israele. Una posizione che si è tradotta, sul piano internazionale, in una mancata presa di posizione chiara a favore del popolo palestinese, non allineandosi a quanto fatto da diverse nazioni occidentali che hanno riconosciuto uno Stato palestinese (per quanto poi, in realtà, si possa anche discutere sull’efficacia effettiva di questo provvedimento senza adeguate sanzioni a Israele). Questa posizione è figlia della politica totalmente filo-israeliana (e islamofobica) che in particolare è stata imposta con la nascita della Seconda Repubblica, una svolta che è stata impressa in primis da Silvio Berlusconi.
La Prima Repubblica, infatti, aveva tenuto un atteggiamento ben diverso nei confronti dei palestinesi e, in particolare, dell’OLP guidata da Arafat. Tale politica “filo-palestinese” coinvolgeva all’epoca tutti i maggiori partiti dell’arco costituzionale, dalla DC al PCI, passando per i Socialisti. Ovviamente le ragioni per cui i vari raggruppamenti politici erano giunti a tale linea politica erano diverse: se da una parte nei movimenti di sinistra (soprattutto dopo la guerra dei Sei Giorni, che si era conclusa con l’occupazione israeliana di Gaza e Cisgiordania) vi era stato un forte movimento di interesse e di solidarietà verso i palestinesi, alimentato anche dall’afflusso in Italia di moltissimi studenti rifugiati, dall’altra il partito di maggioranza al governo, la Democrazia Cristiana, era giunto a considerazioni più di “realpolitik”. Da parte dello stato maggiore della DC al governo vi era infatti la consapevolezza del ruolo di potenza regionale che l’Italia giocava nel Mediterraneo, e porsi in buoni rapporti con tutto il mondo arabo significava anche proteggere gli asset strategici italiani in Medio Oriente, in primis i giacimenti gestiti dall’ENI.
Questo tipo di politica portò, per esempio, al Lodo Moro del 1973: a inizio anni ’70 l’Europa venne scossa da una serie di attentati portati avanti in particolare da Settembre Nero (su cui è aperto un dibattito sul legame con al-Fath, la fazione dell’OLP il cui leader era Yasser Arafat). Si ricordano soprattutto l’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 e quello all’aeroporto di Fiumicino del 1973. In quest’ultima occasione i terroristi fecero esplodere un aereo passeggeri americano della Pan Am per poi fuggire dirottando un altro jet della tedesca Lufthansa. Fu in seguito a tale episodio che il Ministero degli Esteri, allora guidato da Aldo Moro, elaborò un accordo non scritto con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, secondo il quale l’Italia avrebbe chiuso gli occhi sul transito di uomini e armi palestinesi sul territorio nazionale per compiere attentati in altri Paesi e, in cambio, l’Italia sarebbe stata risparmiata da future azioni terroristiche.
Un ulteriore caso emblematico di questa politica fu poi senza dubbio la crisi di Sigonella: nel 1985 la nave da crociera italiana Achille Lauro fu presa in ostaggio da terroristi del Fronte Nazionale per la Palestina, che chiedevano il rilascio di detenuti politici palestinesi arrestati dagli israeliani. Un cittadino americano, Leonard Klinghoffer, venne assassinato; gli americani pretesero la consegna dei terroristi, pur essendo il fatto avvenuto su una nave italiana. Con la mediazione dell’Italia, della Siria e dell’Egitto si pose fine alla presa in ostaggio della nave e i terroristi vennero fatti salire a bordo di un aereo dell’EgyptAir diretto in Tunisia (base in esilio dell’OLP). L’aereo fu però intercettato da caccia americani e costretto all’atterraggio nella base NATO di Sigonella, ed è a questo punto che scoppiò la più grave crisi diplomatica tra Italia e USA. Gli americani circondarono l’aereo per arrestare i dirottatori palestinesi, ma gli italiani, seguendo gli ordini del presidente del Consiglio Bettino Craxi, circondarono a loro volta gli americani.
E subito dopo un ulteriore cordone di Carabinieri e VAM circondò tutto il perimetro: si crearono quindi tre cerchi concentrici di forze armate con le armi spianate. Questa situazione spinse gli americani, su ordine del presidente Reagan, a desistere.
Come già accennato in precedenza, questa politica venne meno con la caduta della Prima Repubblica e con la salita al potere di Berlusconi, il quale era sostenuto anche dal Movimento Sociale Italiano (poi Alleanza Nazionale) guidato da Gianfranco Fini. Fini cercò disperatamente di legittimarsi presso Israele tentando di liberarsi del fardello storico delle leggi razziali che i post-fascisti del MSI si portavano dietro (tanto è vero che nel 1994 il premier israeliano Shimon Peres non vide affatto di buon occhio la vittoria del centrodestra in Italia). È stato anche questo, oltre alla sopraccitata islamofobia, a spingere il governo italiano a porsi su una linea di piena adesione alla politica israeliana, insieme all’appiattimento verso posizioni del tutto corrispondenti a quelle americane. Politica poi che si è perpetuata successivamente anche con i successivi governi di centro sinistra.

