Gli anni ‘70, in Italia, sono stati un capitolo denso di storia, stravolgimenti e cronaca, nonchè il fulcro degli anni di piombo. Un anno, però, è stato ancora più significativo di altri: il 1978.
Molti lo ricorderanno per il fatidico 9 maggio, giorno del rinvenimento del corpo dell’allora Presidente del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, in via Caetani a Roma, oppure, per l’uccisione, per mano della mafia, di Peppino Impastato.
Altri ancora definiscono il ‘78 come un anno cruciale poiché sopraggiunse al soglio pontificio Papa Wojtyla, colui che diverrà una delle personalità più importanti all’interno degli equilibri non solo religiosi, ma anche socio-politici dei decenni a venire.
Personalmente, considero quell’anno come una pietra miliare nella storia della nostra Repubblica poiché ha visto come protagonisti due individui che, in maniera seppur diversa, si sono battuti per il riconoscimento e la salvaguardia dell’articolo 32 della Costituzione italiana, il primo regolamento fra i vari statuti dell’Europa a sancire, nero su bianco, il diritto alla salute .
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Art. 32
Tina Anselmi, politica e partigiana italiana, è stata la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministra e si può definire come una paladina della tutela della salute come diritto imprescindibile di ogni essere umano.
Tre leggi, tutte datate 1978, portano la sua firma e istituirono la chiusura dei manicomi (legge 180), la nascita del Servizio sanitario nazionale (legge 883) e l’interruzione volontaria della gravidanza (legge 194).
Si tratta di tre norme che cambiarono il volto dell’Italia e che sancirono un nuovo corso da seguire e perseguire; per questo Tina Anselmi venne considerata come una delle “madri della Repubblica” che, con determinazione ed impegno, contribuì a cambiare la storia del nostro Paese.
Molto discussa non fu solo la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza che negli anni Settanta venne vista come una vera e propria conquista, ma che in tempi recenti è stata più volte messa in discussione. A volte si rischia anche che non possa esser applicata a causa dell’obiezione di coscienza, assunto regolato dalla stessa legge 194, nell’articolo 9, dove si legalizza l’aborto, ma al tempo stesso si consente ai medici e al personale sanitario di astenersi da tale pratica per motivazioni personali.
Controversa fu anche la storia che portò all’approvazione per l’istituzione del Servizio sanitario nazionale (SSN) che si basa su quattro principi cardine: la globalità delle prestazioni, l’universalità dei destinatari, l’eguaglianza del trattamento e il rispetto della dignità e della libertà della persona. Si trattò di una tappa fondamentale per lo sviluppo della sanità pubblica italiana e che, ad oggi, necessiterebbe di essere nuovamente messa in primo piano.
La riforma, nata per superare il sistema mutualistico, per adeguare il sistema sanitario e per limitare i margini di profitto delle strutture private, decentrando il potere ed affidandolo alle Regioni, incontrò diverse difficoltà. Innanzitutto l’opposizione di coloro che traevano beneficio dagli enti di cura privati e di diversi partiti politici. Nonostante tutto, Tina Anselmi seppe sfruttare il quadro politico di quegli anni e si servì dell’appoggio esterno dei comunisti, nonostante lei non appartenesse a quel partito, per giungere all’approvazione della legge 883.
Vi fu poi Franco Basaglia, psichiatra e neurologo italiano, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita.
Anch’egli, convinto difensore dell’articolo 32 della Costituzione, operò per riformare la disciplina psichiatrica e per proteggere il malato mentale che, fino ad allora, era in balia delle violenze perpetrate dagli istituti che avevano lo scopo di tutelarlo e dalla società che rifiutava categoricamente la follia.
Secondo lo psichiatra: “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”
Partendo proprio da questo ragionamento, dalla propria esperienza in carcere durante il Fascismo e dai quasi dieci anni trascorsi a lavorare in un manicomio a Gorizia, Franco Basaglia comprese la necessità di dover rivoluzionare l’idea di cura che si celava dietro alla malattia mentale.
Migliorò, quindi, le condizioni degli internati restituendo loro i propri spazi di autonomia, fece dialogare i pazienti con il personale sanitario e soprattutto aprì le porte dei manicomi.
Se fino ad allora gli ospedali psichiatrici erano rimasti dei luoghi dimenticati da tutti, divennero così conosciuti non solo dai familiari, ma anche dai visitatori.
Tutto ciò, però, non bastò a Basaglia che promosse lo smantellamento degli ospedali psichiatrici, al quale si arrivò il 13 maggio del 1978, giorno in cui il Parlamento approvò la legge 180 (che oggi porta il nome dello psichiatra italiano) che impose la chiusura dei manicomi e che regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici.
