C’è un’immagine che mi tormenta da almeno 6 anni, anche se non l’ho mai vista, ma solo letta. Da quando ci sono entrata in contatto, il modo che ho di approcciarmi alla scrittura e di valutare gli scritti miei o altrui è radicalmente cambiato. Si potrebbe dire, con maggiore semplicità, che si è alzata l’asticella.
Ho letto “Lolita” al liceo, quando avevo circa 17 anni e proprio forse per questo dovrei rileggerlo. Ne ricordo molto bene la struttura e le parti contenutistiche salienti, ma in particolare custodisco nella mia memoria piccoli dettagli stilistici, frasi di contorno che svolgono alla meglio il loro ruolo, ovvero far risaltare ciò che rientra nel mirino dello scrittore, e brevi parentesi descrittive. Sono seria quando dico che ritengo questi stessi dettagli i veri indicatori del talento letterario. Non è nel tratteggiare grandi morali o nell’imbastire dibattiti filosofici che si vede un grande autore, ma dal numero di frasi che gli servono per fare emergere un personaggio, dalla descrizione degli ambienti, dalle più semplici e all’apparenza innocue manipolazioni della lingua che riesce a stendere nero su bianco. Il diavolo è nei dettagli. Se questo è vero Nabokov doveva essere il peggior incubo di Satana.
La prosa di Nabokov è senza dubbio una delle più ricche ed eleganti che si possa avere il piacere di leggere. Le sue descrizioni sono traboccanti di dettagli disposti con strategia e pulsano di vita solida. Si dice che fosse sinestetico, e alcuni spiegano così la sua sottile capacità di mescolare i cinque sensi con la sua penna. Le trame di cui si fa autore, inoltre, gli hanno sempre permesso di dare libero sfogo alla sua creatività. Un titolo come “Lolita” rispecchia alla perfezione la sua capacità, come scrittore, di mischiare insieme azioni terrificanti e profondi traumi a una prosa che sceglie deliberatamente di lasciare ampio spazio all’immaginazione. Una scelta delicata e proprio per questo azzeccata, soprattutto considerando le tematiche del libro.
Un uomo molto adulto che si invaghisce di una ragazzina molto bambina è già di per sé un tema che metterebbe in difficoltà chiunque. Nabokov è riuscito a sviscerarlo con una sottile violenza che ne rivela non tanto le atrocità, quanto le conseguenze nauseabonde. Si parla di un libro ricco di simbologie e metafore, come ad esempio quella del ragno, emblema della calma, della sua freddezza e del meticoloso lavoro di pianificazione messo in atto da un predatore. Non è però di questo che voglio parlare, ma di un solo piccolo dettaglio che per la prima volta, da adolescente, mi ha fatto capire che stavo leggendo un grande scrittore.
Nel descrivere la casa di Lolita, di cui il protagonista è ospite, Nabokov ne ricalca la trasandatezza. Non parla di uno spazio abbandonato a sé stesso, ma piuttosto di un’aleggiante trascuratezza che emerge dagli angoli delle stanze in forma di polvere, disordine e parziale sporcizia. Offre anche una serie di esempi, mentre la “camera” del narratore si sposta di stanza in stanza. Il più geniale di tutti è un semplice nocciolo di frutta.
È marrone, abbandonato sul fondo di una ciotola di metallo, il che ne fa risaltare il colore sullo sfondo opaco e riflettente. È privo di polpa (forse è un nocciolo di prugna), asciutto e giace solo all’interno del contenitore tondeggiante. Con una sola pennellata, Nabokov ha smesso di aver bisogno di descrivere il resto della casa: il nocciolo racchiude in sé tutto ciò che c’è da sapere. In esso sono contenute molteplici informazioni, come che la padrona di casa non è un’ottima matrona, dato che si dimentica di fare la spesa e lascia le scodelle prive di frutti, ma anche una pessima educatrice, che non insegna alla sua stessa figlia a utilizzare i cestini dei rifiuti o, peggio ancora, sceglie lei stessa di non farvi ricorso. Dal seme emerge anche un senso di pigrizia. L’ospite lo vede, anche perché basta poco a notarlo; è sufficiente chinarsi un pochino al di sopra del tavolo su cui è posata la scodella incriminante per vederne il contenuto, il che significa che chiunque altro all’interno della casa potrebbe scorgere lo sgradevole inconveniente e porvi rimedio. Ma non lo fa nessuno. Il nocciolo rimane lì, eterno emblema di una casa trascurata come la figlia che la abita e chissà, forse anche simbolo di nuovi germogli, di un qualcosa di nuovo che in quella stessa casa ci è appena entrato, ma è pronto a mettere radici.
Questo è un grande scrittore: un individuo che va oltre gli oggetti che nomina e ne sa percepire i plurimi significati, senza scadere in simbolismi decadenti; una persona che conosce nel dettaglio il peso dei propri vocaboli e li dispone non per mero decoro, ma semplicemente al posto giusto; qualcuno, insomma, che sia un passo avanti al lettore o alla lettrice. Ecco, probabilmente Nabokov sarebbe riuscito a spiegare tutto questo con appena 5 parole.
Ho letto la prima volta di questo nocciolo 6 anni fa e ancora ci penso, con cadenza regolare. Che Nabokov fosse un genio lo si sapeva già, ma che una sola piccola frase potesse cambiare il corso letterario di una lettrice è tutta un’altra questione, molto più personale. Ed è esattamente ciò che amo nei libri.