IL TEOREMA DI MARGHERITA

Ho visto questo film per la prima volta in Erasmus a Bruxelles: ero arrivata da poco e nella mia università lo proiettavano in occasione del pi-greco day (sì, esiste davvero). Arrivo, mi siedo, mi regalano dei popcorn: ho il tradizionale pensiero «in Italia non succederebbe», anche se forse non è vero. Parte il film: è in francese, senza sottotitoli. Capisco che per capirci qualcosa devo metterci tutta la concentrazione che il mio cervello ormai rovinato dai reels di Instragram non è in grado di fornire.
La prima inquadratura della regia di Anna Novion mi presenta Marguerite (Ella Rumpf), una giovane ricercatrice, che sta per terminare la sua tesi di dottorato in Matematica all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, una delle università più prestigiose in Francia e nel mondo. Gira in pantofole per l’università e sta rilasciando una piccola intervista prima della sua prima importante conferenza: scopriamo che nella vita le piace passeggiare perchè la aiuta a pensare e che ama la matematica perchè per lei non avrebbe davvero senso stare senza.
Margherita è silenziosa, non parla molto con i colleghi – tutti uomini – ma sembra avere davanti a sè un promettente futuro nella ricerca in matematica teorica. Quando arriva il grande giorno della presentazione dei suoi risultati, però, un collega appena arrivato da Oxford trova un errore nella sua tesi, che rende vano il suo lavoro di anni. Marguerite si trova costretta a decidere di abbandonare tutto e ricominciare da zero nei sobborghi di Parigi, dove riscoprirà se stessa e la matematica da una prospettiva
completamente nuova.
Nel quadro pittoresco e decadente di un qualunque quartiere periferico della capitale francese, “Il teorema di Margherita” ci racconta una storia profondamente umana, che tocca infinite tematiche diverse: l’incertezza costante e l’aleatorietà nascoste sotto la professione di ricercatore, la morsa del giudizio degli altri e il crollo improvviso di tutte le certezze costruite in una vita, basate su una passione fortissima e talvolta totalizzante. C’è soprattutto la paura di commettere un errore, che, anche se piccolo, può rendere vano il lavoro di anni, perchè – come dice il relatore a Marguerite – nella matematica «se c’è un errore, non è più matematica, è vuoto».
Prima del fallimento, la matematica era diventata per Marguerite una via di fuga dal resto dell’esistenza, che si trova ad affrontare non appena il suo castello di teoremi e dimostrazioni crolla. Trovatasi a distanza da lei, però, riscoprirà quello che della matematica l’aveva fatta appassionare, ritrovando lo stimolo in attività correlate, come il gioco cinese del Mahjong, che le permette di pagare l’affitto. Comincia una vita che nella bolla accademica non aveva mai avuto bisogno di costruire, ma a cui scopre di essere in grado di sopravvivere, lontana dalla quotidianità estremamente stimolante ma spesso per lei solitaria dell’ENS.
Una complicata storia d’amore- forse a tratti non corrisposta – per la matematica, che è per Marguerite allo stesso tempo un’ossessione, un’amica fraterna, un rifugio. In parallelo, c’è anche la storia d’amore tradizionale – che, diciamocelo, alla fine piace sempre – , che appare però non strettamente necessaria alla buona riuscita della trama, soltanto un leggero accessorio in qualcosa di molto più grande.
Marguerite ci ricorda quanto la matematica sia la disciplina più riflessiva che ci sia, ma in cui scegliamo di immergerci seguendo la pancia, con motivazioni un po’ sentimentali, che dopo quattro anni è ancora difficile spiegare allo zio che non capisce perché non abbiamo scelto ingegneria informatica (ma cosa te ne fai della topologia scusa?).
Consigliato se ti piace rimanere due ore incollato allo schermo, e non solo per concentrarti a capire il francese. Per matematic* e non. Disponibile in streaming su RaiPlay.

La matematica di Marguerite
L’obiettivo, l’ossessione, la passione di Marguerite, che la giovane ha dai suoi primi anni di università, è dimostrare la congettura di Goldbach. Formulata per la prima volta dall’omonimo matematico prussiano nel 1742, è ancora oggi uno dei più famosi problemi irrisolti della teoria dei numeri, la branca dell’algebra che si occupa di studiare le proprietà dei numeri interi. La congettura afferma che ogni numero pari maggiore di due può essere scritto come somma di due numeri primi: nonostante la semplicità dell’enunciato, sino ai progressi attuali si è ricorso a tecniche provenienti da vari ambiti della matematica, quali per esempio la statistica e la probabilità.
La realizzazione del film è stata la più accurata possibile dal punto di vista matematico, anche perché frutto della collaborazione con Ariane Mèzard, professoressa presso l’ENS-PSL di Parigi e ricercatrice in geometria aritmetica, in particolare in deformazioni delle rappresentazioni p-adiche di Galois. A detta di alcuni, la precisione matematica richiesta dalla sceneggiatura e l’impegno per raggiungerla hanno permesso a Mézard di ottenere reali progressi nella dimostrazione della congettura di Goldbach.

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