LA DEMOCRAZIA E’ MATEMATICAMENTE POSSIBILE?

Correva l’anno 1771, quando il cavaliere Jean-Charles de Borda venne turbato da un pensiero sconvolgente che lo porterà a completare dieci anni più tardi le Mémorie sur les élections au scrutin. Cosa aveva turbato così tanto Borda? La risposta potrà sconvolgere anche voi lettori, in quanto si tratta del fatto che il voto a maggioranza, espressione di verità, giustizia e rispetto della volontà di tutti gli individui, non è così infallibile ed efficiente come si possa pensare. Il criterio della maggioranza non è quasi mai espressione dell’effettiva volontà dell’elettorato.

Risulterà tutto più chiaro con un esempio che, per rimanere nell’ambiente culturale dell’epoca, vi richiederà di immaginare cento cardinali riuniti in conclave per designare un nuovo pontefice.

Il papa viene eletto con una maggioranza dei due terzi dei voti espressi; ma tralasciamo per un momento le regole della maggioranza qualificata e usiamo il criterio della maggioranza semplice. Abbiamo tre candidati: Orsini, Cienfuegos Villanzón e Piazza (i nomi sono stati scelti casualmente fra quelli dei cardinali che parteciparono al conclave del 1724). Dopo l’ultimo scrutinio questa è la graduatoria:

Orsini: 44 voti

Cienfuegos Villanzón:  38 voti

Piazza: 28 voti

Dunque Orsini viene eletto papa con 44 voti. Cerchiamo di capire, però, se questo risultato rispetta davvero le preferenze dei cardinali.  In un confronto a maggioranza gli elettori non tengono conto solo della prima scelta (a chi daranno effettivamente il voto), ma confrontano i candidati e stilano una propria classifica personale. Dunque accettando l’idea che la prima scelta implichi che ve ne sia una seconda e così via, proviamo ad ipotizzare una graduatoria che tenga conto di ciò :

44 elettori: Orsini > Piazza > Cienfuegos Villanzón

38 elettori: Cienfuegos Villanzón > Piazza > Orsini

28 elettori: Piazza > Cienfuegos Villanzón > Orsini

Orsini risulta 44 volte primo, ma è l’ultima scelta per 66 elettori. Possiamo dunque concludere che il sistema di voto abbia occultato le preferenze individuali, ponendo come papa un personaggio sgradito ai più.

Nella Parigi del diciannovesimo secolo le critiche di Borda al criterio della maggioranza suscitarono scalpore e un acceso dibattito. Tra tutti, colui che se ne interessò maggiormente fu il marchese di Condorcet. Egli mostrò alla comunità matematica parigina un secondo paradosso, noto come “ciclicità delle preferenze”. Anche in questo caso si propone un banale esempio. Giacomo, Matilde e Margherita decidono assieme quale sia l’alternativa migliore per un dopocena; le opzioni sono cinema, teatro o pub. Essendo tutti rispettosi dei valori democratici, decidono di votare a maggioranza. Questi i risultati:

Giacomo: cinema>teatro>pub

Matilde: teatro>pub>cinema

Margherita: pub>cinema>teatro

Due su tre preferiscono il cinema al teatro, e sempre due su tre preferiscono il teatro al pub. Allora vince il cinema a maggioranza! Ma Matilde e Margherita protestano e, per Condorcet, hanno ragione. Infatti il pub è preferito due volte su tre al cinema, dunque si è formato un ciclo.

I voti a maggioranza sono intransitivi: se x è preferita a y e y è preferita a z, non necessariamente x è preferita a z.

Esiste una soluzione alla ciclicità?

Bisognerà aspettare il 1951 per avere una risposta definitiva al problema, grazie all’economista Kenneth Arrow, il quale diede una dimostrazione  del fatto che, in generale, non è possibile elaborare un criterio di scelta sociale aciclico e pienamente democratico, se le opzioni in gioco sono più di due.

Arrow partì dal porre quattro condizioni che, ragionevolmente, ogni sistema democratico di voto dovrebbe rispettare:

  1. Dominio universale e illimitato : ciascuno può ordinare le opzioni esistenti come meglio ritiene, senza divieti o imposizioni. Non sempre accade ciò nella realtà, in quanto alcuni ordinamenti possono essere esclusi per motivi religiosi o costituzionali.
  2. Principio di Pareto debole: date due alternative x e y, se tutti gli individui preferiscono x a y, allora x deve essere preferita a y anche a livello sociale.
  3. Assenza del dittatore: non deve esserci alcun soggetto, individuo o autorità in grado di imporre socialmente le proprie scelte
  4. Indipendenza delle alternative irrilevanti: la scelta tra due opzioni x e y deve tenere conto solo di queste. In altre parole, alcuni elettori di x potrebbero dichiarare la preferenza per una terza opzione z, pur di non far vincere y. Le preferenze devono essere dunque espresse in modo veritiero.

Grazie a queste proprietà è possibile creare una democrazia incontrovertibile secondo ragione. Purtroppo nessun sistema di voto è capace di verificarle tutte e quattro contemporaneamente; solo la dittatura potrebbe evitare le incongruenze, il che porterebbe all’impossibilità dell’individuo di esprimere liberamente le preferenze.

Ovviamente questa definizione di democrazia è data in termini rigorosi e razionali quanto allo stesso tempo stringenti. Il fatto che i nostri sistemi di voto non rispettino tutte e quattro le proprietà citate non significa che non siano comunque desiderabili o non possiedano una loro praticità. Il suffragio universale e il sistema maggioritario tutelano, nel limite del possibile, le volontà dei singoli e dei gruppi, determinando un livello di libertà che non sono presenti in tutto il mondo.

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