Quando ero piccola ero molto brava a improvvisare con le rime, ma non mi piacevano particolarmente. Ricordo che provavo una certa diffidenza nel dover autoimporre dei limiti a ciò che scrivevo, anche se ciò si poteva trasformare in un margine creativo. Più avanti, al liceo, man mano che mi approcciavo ai grandi poeti della storia, un generale senso di fastidio nei confronti dei rigidi dettami della metrica non mi ha mai abbandonato. Per quanto apprezzi moltissimo la capacità linguistica di saper giocare con le parole e di saperle piegare al proprio volere in maniera originale, una parte di me continua a percepire alcune regole stilistiche come una superflua limitazione allo sviluppo creativo. Forse la Divina Commedia non sarebbe un gioiello letterario se non fosse scritta in splendidi (ma pur sempre rigidi) endecasillabi, ma chissà, forse Dante avrebbe saputo esprimersi in maniera più completa rifacendosi all’utilizzo della prosa. Insomma, ancora adesso non sono una grande estimatrice di poesia, di cui sono anche una lettrice inesperta. Tuttavia, c’è un settore specifico nel quale trovo che l’imposizione di limiti metrici sia stata una trovata a dir poco geniale. E con la letteratura non c’entra assolutamente niente. Facciamo un passo indietro.
Il termine “Souls like” fa riferimento a una particolare categoria di videogiochi caratterizzati da una difficoltà elevata, una narrazione criptica e altamente interpretabile dal giocatore e un’estetica di taglio orrorifico. Si tratta di scenari videoludici che giocano (scusate) molto su ambientazioni di grande atmosfera e si basano su una meccanica di trial and error progressiva. Il game play è relativamente lineare, con una serie di boss a sbarramento che diventano man mano più difficili da sconfiggere, ma la trama del mondo fantastico in cui esso si svolge, così come le backstories degli npc (“non playable character”, ovvero i personaggi non giocabili con cui però il giocatore può interagire), sono profonde, dispersive e misteriose. Il termine “Souls like” deriva dai primi videogiochi che hanno dato origine a questa meccanica narrativa, ovvero la trilogia di “Dark Souls” sviluppata dall’azienda giapponese FromSoftware, sviluppatrice in seguito anche di Bloodborne e di Elden Ring. Questi giochi sono diventati talmente iconici da ispirare un intero filone videoludico e tuttora si collocano tra i videogiochi più di successo e d’impatto di sempre.
In linea di massima, i “Souls like” si giocano in autonomia e sono progettati per permettere al giocatore di costruire il suo percorso di gioco personalizzato. Allo stesso tempo però è anche possibile giocare in modalità online, interagendo con altri giocatori, sia sfidandoli che chiedendo loro aiuto.
Il rischio che introdurre la modalità multiplayer potesse danneggiare l’atmosfera introspettiva e inquietante del gioco è stato abilmente aggirato dagli sviluppatori. Non solo i giocatori “ospiti” vengono “evocati” dall’ospitante in maniera molto scenografica (ad esempio in Bloodborne si utilizza una campanella che, se suonata, permette di “aprire varchi tra i mondi”, che tradotto significa connettere due server), ma una volta apparsi nello scenario videoludico agli occhi dell’ospitante appariranno in forma di fantasmi. Questo significa che, mentre ci si aggira per un’oscura città gotica o per una foresta nebbiosa, è possibile imbattersi in fantasmi evanescenti che vanno per la loro strada. Con questa scelta artistica, giocare in multiplayer non toglie nulla all’atmosfera del gioco ma, anzi, la rafforza rendendola ancora più suggestiva.
Ritornando al discorso della metrica, FromSoftware è riuscita a integrare anche un’interessante meccanica linguistica all’interno delle sue modalità multiplayer, sempre con l’intento di mantenere l’atmosfera di gioco il più intatta possibile. All’interno della modalità online è infatti possibile lasciare messaggi agli altri giocatori, che appariranno come misteriose scritte luminose sul terreno. Al momento di lasciare il messaggio, però, il giocatore non ha accesso alla classica tastiera, bensì a un bacino limitato di parole da scegliere per comporre delle frasi. Il risultato è necessariamente criptico, forse un po’ sgrammaticato, ma perfettamente in linea con la teatralità del gioco. Partecipando a questa modalità di gioco si ha l’impressione di essere completamente immersi in un mondo fantastico, ricco di messaggi segreti, indizi e inganni. Lasciati da fantasmi.
Il limite rigido all’espressività del giocatore diventa, in questo caso, una salvaguardia all’esperienza di gioco e, dunque, una nuova forma di creatività. Spetta al giocatore, infatti, selezionare le parole giuste per cercare di esprimersi, seppur con difficoltà. Certo, non sono poche le trovate ironiche che ne scaturiscono (traducete voi in inglese “dito ma buco”), ma forse anche in questo c’è una poesia tutta speciale.