“LA VEGETARIANA” DI HAN KANG

Il libro della premio Nobel per la Letteratura Han Kang, uscito in Italia per Adelphi nel 2016
con il titolo La vegetariana, è un intenso lasciarsi trascinare fino a raggiungere le più profonde pieghe
dell’esistenza. La protagonista, di punto in bianco, in seguito ad un sogno dalle tinte oscure, smette
di mangiare carne, e con essa anche uova e latte. Ma non si tratta di un semplice passaggio ad una
dieta vegana, perché dietro la sua decisione ci sono pretesti irrazionali, immagini sanguinolente e atti
di una violenza raccapricciante. Questa è la storia di un’esistenza complessa, in cui un problema che
assoceremmo comunemente ai disturbi alimentari prende piede in seguito alla squilibrata
consapevolezza di non poter uccidere, di non voler essere parte di quella distruzione di esseri viventi
che ad oggi caratterizza il rapporto tra uomini ed animali. Eppure c’è qualcosa che stride con questa
consapevolezza, ed è proprio l’incapacità della protagonista di provare pietà nei suoi stessi confronti.
Sembra che le sue azioni siano connesse ad un disperato tentativo di espiare una colpa riducendosi
ad essere nulla – sempre più magra, sempre più insonne, sempre più emaciata, sempre più debole, e
infine sempre meno donna. Tra le righe del testo pare quasi affiorare questo tragico desiderio della
protagonista di arrivare a congiungersi solo e soltanto con se stessa, fino a impedire a suo marito di
avvicinarsi a lei, perché il suo corpo “puzza di carne”. E così ha inizio l’annullamento del suo essere
qualcuno. Da persona ordinaria quale viene descritta dal marito fin dalla primissima pagina, finisce
per essere il fantasma di se stessa, vivente una dimensione che appartiene a lei soltanto e che si
connette con il sostrato onirico del suo non dormire. Nella vita reale, nel frattempo, il marito cerca
un aiuto nei suoceri e nella cognata, e così la violenza che fino a quel momento aveva agito nell’intimità
dei sogni della protagonista a scapito di persone dal volto irriconoscibile o di animali sanguinanti,
diviene violenza perpetrata dai genitori ai danni della figlia. Il tutto è presentato attraverso una
scrittura sciolta e agile, lucida e scorrevole, impattante ed evocativa, capace di dare forma a pensieri
elaborati attorno alle tematiche più disparate. E a completare il quadro non manca una carica erotica
capillare, che tocca tutti i personaggi fino a ridurli a burattini in balia dell’attrazione inspiegabile per
questa donna. Una carica erotica di tale portata rende le pagine ancora più intense ed enigmatiche,
arrivando a toccare i punti deboli del cognato della protagonista, nonché della sorella. Alla fine ci si
percepisce immersi in un gioco sessuale al limite tra normale e anormale, curiosità e malattia.
Si tratta di un libro potente, di un modo tutt’altro che felpato di arrivare a lettrice e lettore e di
metterli di fronte a domande esistenziali da cui fino ad allora hanno probabilmente cercato di sfuggire:
cosa implica la morte? Dove si pone il limite tra malattia e libertà di declinazione dell’essere? Cosa
spinge l’essere umano a voler espiare le proprie colpe in una maniera così tragica? In virtù di quale
idea di compenso l’essere umano è portato ad annullarsi?
Han Kang ha indubbiamente un dono: quello di toccare le corde più nascoste dell’anima e di
riuscire a farle risuonare con insistenza, nella speranza che ricevano l’attenzione che cercano e
meritano. Il suo è un procedere imperterrito e convinto, con il quale riesce a fendere l’aria per
prendere posto tra il sé del lettore e il sé dei suoi personaggi. E la verità è che no, alla fine non c’è
proprio nulla di ordinario nell’esistenza cui ciascuno di noi decide di dare forma.

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