“So we decided to stick him in a glass case to look at what they did to him ? Let a man rest in peace. Damn”
“This is wrong on so many levels. Doesn’t matter how old, the baby should be taken back home and laid to rest.”
“Je suis toujours très mal à l’aise devant ce témoignage : la mort est intime”

Questi sono alcuni commenti raccolti da Instagram che evidenziano un comune senso di ingiustizia nel vedere corpi rimossi dalle loro tombe per motivi archeologici. Oggi, infatti, un archeologo e gli scienziati che lo attorniano non si devono tanto preoccupare della maledizione della mummia di turno ma più dell’opinione pubblica. Al di là delle concezioni religiose, è innegabile che la visione di resti umani causi soggezione e porti a chiedersi se sia giusto che questi siano spostati da dove sono stati ritrovati fino a essere esposti in musei. Per quanto riguarda la prima questione, oltre ai motivi di studio si configura un’altra importante evenienza: la protezione.Infatti, è noto come i materiali organici vadano incontro alla degradazione il che risulta problematico quando sono necessarie delle analisi. Si cerca quindi di mantenere lo stato in cui il corpo è stato ritrovato, anche per motivazioni ideologiche. Se i resti vengono considerati un reperto archeologico rientrano come tutti gli altri in un programma di conservazione, oggi anche tutelato dalla legge. Si potrebbe dire poi che in molti casi l’obiettivo antico nella sepoltura era raggiungere l’incorruttibilità e in questo senso oggi si starebbe rispettando le volontà dei nostri avi.
Si forma durante gli studi un legame con il passato, ed è questo il centro della questione. Il rispetto che si prova verso il defunto si rispecchia nella protezione dall’incombere della natura ma anche dall’avidità umana. Se infatti un reperto in generale, sia esso umano o meno, venisse riportato al suo contesto originale e “abbandonato” sarebbe più che certo il fatto che verrebbe razziato e distrutto. Trattando il caso dell’Egitto, è dall’antichità che tombe vengono depredate e in molti casi le mummie distrutte, tanto da obbligare a cercare di nascondere le inumazioni o spostarle. E questo poi è proceduto nel corso del tempo con non solo più la ricerca di tesori ma la ben più macabra usanza di disporre delle mummie come concime o di usarle come farmaci. Ad oggi, tutto ciò, oltre a essere assolutamente illegale, è anche largamente prevenuto grazie alle istituzioni museali.
Ma perché esporre i corpi? Entra qui in gioco un altro importante elemento ideologico, ovvero la necessità che la cultura sia pubblica, come ben evidenzia la definizione di museo dell’ ICOM*. In questo caso non si parla solo di cultura, ma anche di memoria. Vi è infatti un modo virtuoso di disporre nelle collezioni i resti umani e consiste nel non lasciare il corpo come tale ma nel ricostruirne la persona. Grazie all’archeologia è possibile ricostruire il volto, la dieta, i viaggi, la condizione sociale e via dicendo di una persona di cui rimane anche solo lo scheletro. Se apponiamo oggi, parafrasando Foscolo (che di sepolcri se ne intende), “un sasso che serbi il nome” nei cimiteri per i nostri morti lo stesso facciamo nei musei per persone sconosciute a cui il tempo e le intemperie (e talvolta anche gli umani) hanno tolto la dignità.

Intercorre talvolta però un annoso problema nella nostra materia, ovvero il colonialismo. Senza entrare nel merito del problema, ci sono casi in cui gli studi da parte di università estranee che interessano una comunità si sono svolti in accordo con queste e non prevaricandole, come purtroppo è successo in passato.
Un esempio è quello degli scavi di Wounded Knee, dove i resti sono stati studiati e nuovamente sepolti in accordo con i loro discendenti. Proprio negli Stati Uniti è nato il “Native American Graves Protection Act” che attesta che, se richiesto da una comunità, occorre valutare l’ “affiliazione culturale” di resti e opere per eventualmente restituirle.
Esistono certamente casi ove un corpo viene spersonalizzato, trattato in modo sensazionalistico e utilizzato come un oggetto, ma oggi si sono fatti grandissimi passi avanti a riguardo e alla domanda del titolo si potrebbe rispondere positivamente considerando il fine degli studi, l’attenzione alla persona in sé e il dialogo con la popolazione interessata dagli studi.
*“Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità.

Fonti:
Colin Renfrew, Paul Bahn, “Archeologia. Teoria, metodi e pratica”
Maria Teresa Fiorio, “Il museo nella storia”
Foto:
Sala del Museo di Archeologia Ligure
Sarcofago con muse, Museo Nazionale Romano
Ceppo votivo, Domus Aurea