Una delle prime battute della seconda stagione di “Fleabag” è pronunciata dalla protagonista, interpretata da Phoebe Waller-Bridge, che rompendo per l’ennesima volta la quarta parete si rivolge al pubblico dichiarando “This is a love story”. Per chiunque abbia visto la serie, è facile ricollegare questa frase a tutte gli eventi che intrecciano Fleabag stessa con il prete co-protagonista della seconda stagione. Ma è davvero lui l’unico destinatario di un’affermazione così generale? Dopotutto, il fulcro della serie non è l’amore inteso nel suo senso più romantico, quanto l’evoluzione della protagonista, la metabolizzazione del trauma, l’accettazione di sè, la forza e il coraggio necessario per ritrovare un equilibrio in assenza di solidi punti di riferimento. E’ vero, l’amore è un tema ampiamente sviscerato, ma viene declinato in tutte le sue forme. Si parla dell’amore madre-figlia, che trascende persino i confini della morte, dell’affetto amicale che può unire uomini e donne, della nascita di nuovi rapporti dopo il lutto (più o meno superato). Ma ciò di cui davvero parla Fleabag è la sorellanza, di sangue o meno. Non è certo un tema nascosto, ma è indubbio che possa passare in sordina rispetto allo spumeggiante rapporto tra la protagonista e Andrew Scott con il colletto. Per carità, capisco benissimo che la cosa sia molto catalizzante. Ma è davvero a questi due personaggi che è dedicata l’apertura della stagione? Oppure è per Fleabag e sua sorella Claire che, nonostante tutto, si “amano” nel senso più puro e umano del termine, che si riscoprono sorelle di puntata in puntata, che giungono alla conclusione che gli uomini passeranno, ma loro due no? O ancora, la sorellanza spirituale tra Fleabag e la sua defunta migliore amica Boo, con cui è costretta a fare i conti ogni minuto, non sarebbe una degna destinataria di questa “love story”? Insomma, all’ennesimo rewatch mi sento di dire che la relazione tra Fleabag e Padre Andrew Scott sia quasi uno specchietto per le allodole, in cui l’amore romantico trova poco spazio e ne lascia a tutto il restante caleidoscopio di intrecci umani, in cui le donne, in questo caso, sono protagoniste assolute.
Fleabag non è certo l’unico esempio di un simile meccanismo narrativo. Uno dei più grandi capolavori letterari del ‘900, “Via col Vento”, risponde a una logica molto simile. La straziante storia d’amore tra Rossella O’Hara e Rhett Butler è diventata, nell’immaginario comune, il fulcro di questo imponente romanzo e, in seguito, dell’indimenticabile pellicola. Di sicuro ha giocato un ruolo non indifferente l’iconografia usata per pubblicizzare il prodotto, che il 90% delle volte ritrae i due protagonisti (o forse meglio dire la protagonista e il suo secondo) avvolti in un languido abbraccio carico di sensualità. In questo, la copertina di Fleabag è molto più sottile, dato che mostra Phoebe Waller-Bridge con il volto smorto e quasi impassibile, ma rigato di lacrime, senza accenni a figure maschili. Per carità, si parla di prodotti distanti anni luce per trama ed epoca storica, ma accomunati da un grande accento sull’evoluzione di un personaggio femminile e dei suoi rapporti con altre donne. Un tema che in entrambi i casi rischia di venire dimenticato dal pubblico in favore dell’uomo portato in scena.
Rossella O’Hara e Fleabag non sono poi così diverse. Sono entrambe due personagge complesse, tridimensionali, traboccanti di difetti e di errori ma con le quali è impossibile non rispecchiarsi, fosse anche solo in una delle loro molteplici sfumature. Le loro storie parlando di loro, della loro crescita, del modo in cui sono costrette ad imparare ad accettarsi spesso ricacciando verso il fondo del loro essere la vocina nella testa che cerca di convincerle che non sono mai abbastanza. Entrambe amano moltissimo persone che non ci sono più. Entrambe pensano che la loro madre non apprezzerebbe ciò che sono diventate. Soprattutto, entrambe imparano ad amare le donne della loro vita, specialmente quella con cui meno si sentono compatibili. Anche “Via col vento” è una storia d’amore, ma come nel caso di Fleabag non tanto nei confronti di Rhett, ma di sè stessa e di Melania, la nemesi di Rossella per tutto il libro che però non la abbandona mai e dimostra più forza e tenacia di molti altri. E’ un peccato che ce ne si dimentichi così spesso.
Usufruendo di due prodotti di intrattenimento del genere, entrambi, ricordiamolo, scritti da donne, assistiamo a ciò che le figure maschili fanno alle donne stesse, anche nella narrativa: le monopolizzano. Fleabag e Rossella sono due donne talmente reali da poterle toccare e ricondurne le storie al mero romanticismo si traduce in una lettura troppo superficiale della loro complessità. I loro finali, entrambi (non a caso) dolceamari, sono portavoci di messaggi di speranza per tutte le donne, perchè si ricordino che le loro vite saranno sempre storie d’amore. Che gli uomini ci siano o meno è decisamente irrilevante.