YVES KLEIN – THE WORLD IS BLUE

Tela monocroma, stanza vuota, giornale inventato fatto di sole quattro pagine, tessuto bruciato, vernice spalmata su un corpo. Questa è arte? Domanda legittima, soprattutto se proviene da una persona che ritiene che tutte queste opere citate sia in grado di realizzarle pure lui. Perchè questo dubbio non giunge anche quando si ammira un quadro di Caravaggio o si studia una scultura classica? È vero, l’uso sapiente del chiaroscuro e l’attenzione anatomica non sono tecniche che tutti sanno padroneggiare, eppure neanche l’idea è qualcosa che ciascuno può vantare. La provocazione, l’innovazione e l’esser andati oltre sono gli ingredienti che fanno sì che molte opere contemporanee possano essere annoverate come capolavori artistici.

Una tela verniciata con un solo colore è effettivamente alla portata di tutti, ma è altrettanto nelle possibilità di ognuno di noi fermarsi a stendere uno strato di tinta su un supporto, senza spingersi oltre. Yves Klein, artista francese affermatosi nel panorama culturale della metà del Novecento, nella mostra del ‘57, presso la Galleria Apollinaire di Milano, dal titolo “Proposte monocrome: epoca blu” non espose solo una decina di quadri identici caratterizzati dalla stesura di un uniforme blu acceso, ma andò oltre e creò un nuovo colore. Il Blu Klein, o International Klein Blue (IKB), è una tonalità creata mescolando il pigmento oltremare con una resina chiamata Rhodopas. Brevettato nel 1960, viene descritto dallo stesso Klein come “un blu oltre il blu”. Questa è arte.

Gli interessi dell’artista non erano, poi, esclusivamente confinati alla pittura. Klein fu un campione di judo, grande conoscitore del Giappone e delle lingue orientali, oltre che allievo presso la scuola di studi nautici (École Nationale de la Marine Marchande) ed allenatore di cavalli da corsa. La sua poliedricità si rifletté nella produzione artistica che spaziò dalla scultura fino alla performance, passando per la fotografia. È il caso di “Salto nel vuoto”, fotomontaggio degno dei tempi moderni. Klein distese le braccia ed abbandonò il proprio corpo, quasi a librarsi in volo verso l’ignoto, l’irreale, l’immateriale. Ad immortalarlo ci pensarono due fotografi sperimentali e promotori delle avanguardie artistiche novecentesche: Harry Shunk  e János Kender che, tra gli altri, affiancarono anche Andy Warhol e Jeanne-Claude con Christo. Il fotomontaggio fu reso necessario dato che l’artista, protagonista dello scatto, atterrò su telo retto da alcuni suoi amici, dettaglio che nell’opera definitiva è assente.

L’indagine di Klein giunse fino alla performance capace, nel suo caso, di espletare e sottolineare la diretta connessione fra corpo ed espressione artistica. Se per la scienza l’antropometria è la disciplina che si occupa di misurare il corpo umano nella sua totalità o nelle sue componenti, nell’arte del pittore francese essa è l’espressione di un nuovo modo di applicazione del colore.

“Antropometrie” è, infatti, un’esibizione del ‘58 in cui una modella, il cui corpo venne ricoperto di IKB, cosparse la vernice su una tela, fino a creare, sotto indicazione di Klein, un monocromo. Il corpo umano divenne, quindi, il focus dell’opera, ma al tempo stesso esso rimaneva solo nell’immaginario di coloro che avevano potuto assistere alla performance.

La serie successiva di “Antropometrie”, organizzata un paio di anni dopo al primo esperimento, nacque proprio dall’idea di sottolineare il rapporto carnale esistente tra l’atto del dipingere, il colore ed il corpo. Le modelle, il cui busto e le cui cosce vennero ricoperte di vernice, lasciarono la propria traccia sulla tela; mentre nella stanza i visitatori erano accolti dalla “Sinfonia monotona”, anch’essa ideata da Klein e constante in venti minuti in cui l’orchestra esegue un accordo in re maggiore, seguito da un lungo momento di silenzio.

altri post