Jó napot kívánok! Salve! Seconda pagina di questo diario alla scoperta dell’Ungheria e della “magiarità” da parte di un collegiale perso per qualche mese in questo paese sia cosi’ vicino, sia cosi’ lontano… E stando qui si capisce che ci sono alcune cose che allontanano completamente questa nazione dalle altre che la circondano, fra le quali ovviamente la prima è la lingua (di cui scriverò un articolo sicuramente più tardi, ma dovrà essere fatto bene, sono un aspirante linguista d’altronde); ma ci sono anche parecchie cose che legano questo paese e questa cultura al resto dell’Europa, e di per certo una di queste è la letteratura, che occupa una parte importantissima della “coscienza magiara”. Cerchiamo quindi un minimo di esplorare questa letteratura, vedendo cosa accade sia fra i versi delle poesie, sia in prosa, che sia essa per adulti o sia essa per ragazzi e adolescenti.
Il capolavoro della letteratura magiara: la poesia di Sándor Petőfi
principalmente durante il periodo delle grandi rivoluzioni del ’48, esiste di certo una letteratura nazionale ungherese precedente al 1800, ma è sicuramente meno sviluppata e meno conosciuta, sia dovutamente al tardo “arrivo” del popolo (o popoli) magiaro in queste terre attorno all’anno mille, sia a causa della pesante oppressione austriaca subita dal Regno di Ungheria durante la dominazione asburgica. Ma è proprio dal terreno fertile dell’oppressione austriaca che nasce il vero “fiore” della letteratura magiara, comparabile in importanza per la cultura e per la lingua ungherese soltanto al nostro Dante.
Se si dovesse scegliere un’incarnazione del perfetto poeta romantico (e balcanico), a parere mio non si potrebbe fare una scelta migliore di Sándor Petőfi. Figlio di madre slovacca e padre serbo in una piccolissima città della pianura ungherese, Petőfi si sente profondamente ungherese e inizia la sua carriera poetica scrivendo proprio poesie per la causa dell’indipendenza ungherese, causa per la quale combatterà anche al fronte, morendo in battaglia come il migliore dei poeti romantici inglesi deceduti su un qualche isolotto greco per difendere l’identità ellenica dal giogo ottomano. Ed è per la rivoluzione ungherese antiasburgica che Petőfi scrive il suo primo capolavoro, ovvero la poesia “Szabadság, szerelem” ovvero “La libertà! L’amore!” che con i suoi versi “Szerelmemért föláldozom Az életet//Szabadságért föláldozom Szerelmemet” (per l’amore sacrifico la vita, per la libertà sacrifico l’amore) porterà Carducci a paragonare Petőfi al nostrano Mameli, paragone non cosi’ sbagliato essendo che anche Petőfi scrisse un “inno nazionale”, attualmente non è in uso.
Ma sicuramente se si chiedesse ad un ungherese quali sono le poesie di Petőfi più importanti per la letteratura ungherese non risponderebbe nominando le poesie strettamente legate all’amor di patria, ma citando qualche poesia d’amore profondamente romantica. Ed è scrivendo versi sull’amore e sulla Natura che Petőfi scrive quella che qui in Ungheria è considerata il suo più bel componimento: “Szeptember végén” (Trad. “Alla fine di Settembre”), che riesce perfettamente a mischiare la dolcezza dell’amore con l’amarezza della fugacità del tempo, come soltanto De La Martine con la sua “le lac” riesce a fare.
Trovate una gran parte delle migliori poesie di Petőfi, insieme ad altre liriche della letteratura romantica magiara, tradotte in italiano nella raccolta “La grande triade della poesia rivoluzionaria ungherese” accanto alle poesie di Ady e Attila, altri due poeti centralissimi per la letteratura locale.
La prosa nella letteratura ungherese, da Sándor Márai a László Krasznahorkai
Esattamente come quella italiana, anche la letteratura “celebre” ungherese nel passaggio fra romanticismo ottocentesco e letteratura novecentesca si è fatta sempre più una letteratura anche di prosa, una tendenza che esiste anche nella letteratura più contemporanea. Certo è che vi siano delle linee e delle tendenze comuni a tutta la prosa ungherese e, secondo me, sono rappresentate al meglio da Márai e Krasznahorkai.
Sándor Márai, esattamente come Petőfi per l’800, è un autore che perfettamente incarna la storia della Nazione ungherese nella prima metà del ‘900: nato nel 1900 a Košice, quando ancora la città e l’intera Slovacchia erano sotto il controllo della corona magiara e Košice si chiamava Kassa, passa la prima metà della sua vita vagando fra Ungheria, Germania, Francia, Svizzera ed Italia (accanto alla moglie Ilona Metzner, di origini ebraiche) durante il periodo delle grandi dittature europee e della Seconda Guerra Mondiale, criticando pesantemente entrambi gli estremismi politici e stabilendosi definitivamente negli anni ’50 negli Stati Uniti, dove finì per suicidarsi nel 1989.
La guerra e le peregrinazioni di Márai sono cio’ che più influenza la sua prosa, che rimane sempre scritta in ungherese (benché sia rimasta ampiamente trascurata nella sua madrepatria fino almeno all’inizio di questo millennio), e della quale consiglio la lettura di due opere che sono anche considerate ad oggi due dei suoi più grandi capolavori: la prima è “A mészáros” (trad. Il macellaio). Vero esordio letterario di Márai nel 1924, questo racconto è completamente figlio del trauma europeo della Prima Guerra Mondiale e racconta la fortuna e la miseria di un macellaio, arruolato come soldato che, fatta carriera durante il conflitto, si ritrova solo, abbandonato, ignorato e completamente traumatizzato dagli eventi della guerra. Al Al termine del conflitto, cerca di ritornare al suo vecchio lavoro e viene preso da una spirale di follia e nichilismo che lo portano a pensare che non ci sia vera differenza fra il lavoro di colui che fa mattanza di animali e colui che fa mattanza di uomini.
L’altra grande opera di Márai, influenzata dal suo periodo di permanenza a Napoli, è “San Gennaro Vére” (trad. Il sangue di San Gennaro). Vero e proprio romanzo e non un racconto come “Il macellaio”, questa è un ‘opera genuinamente realista: in 300 pagine cerca di fare un ritratto della città di Napoli durante il secondo conflitto mondiale con tutta la sua gente, dai pescatori più miseri, agli aristocratici più orgogliosi. Trovate queste due opere di Márai, insieme a tantissime altre dell’autore, tradotte e edite da Adelphi.
Infine, per quanto riguarda la prosa, non sarei persona da interessarmi alla letteratura più contemporanea, ma circa un mese fa l’Ungheria ha ricevuto il suo secondo premio per la letteratura grazie all’opera di László Krasznahorkai. Non vi posso dire molto di Krasznahorkai, perché mi sono interessato alla sua letteratura solamente dopo l’assegnazione del Nobel: cio’ che è più interessante (oltre al suo legame molto forte con la città di Szeged, essendo nato ad una mezzoretta di auto da qui) è che la sua opera è fondamentalmente “bimediale”, nel senso che trova tantissima ispirazione ed ispira altrettanto fortemente il cinema: sono interessantissime le collaborazioni fra Krasznahorkai e il regista Béla Tarr, con il quale ha scritto svariate sceneggiature per adattare le sue opere alla cinepresa. Questa “unione di arti” è uno specchio perfetto della crescente importanza nell’ambiente cinematografico dell’Ungheria con cineasti come Béla Tarr e Miklós Jancsó che hanno portato alla creazione di veri capolavori come “A torinói ló” (il cavallo di Torino) che, partendo dalla celebre storia di Nietzsche che bacia un cavallo in piazza a Torino, racconta la monotonia e la miseria degli ambienti rurali. D’altro canto, l’opera “Sátántangó” è diventata celebre non tanto per la sua storia (sempre incentrata sulla monotonia ed assurdità della vita rurale), ma per il fatto di durare più di 7 ore, benché sia composto da sole 150 inquadrature, la maggioranza delle quali almeno in parte improvvisate dagli attori.
La letteratura ungherese per l’adolescenza: A Pál utcai fiúk
Cio’ che è sicuro è che si può considerare A Pál utcai fiúk”, scritto all’inizio del ‘900 da Ferenc Molnar come un vero capolavoro della letteratura per ragazzi, esattamente come per noi in Italia potrebbe essere il libro “Cuore”, e che ha anche il merito di rimanere (al contrario forse dell’opera di De Amicis) assolutamente attuale ad oggi. Del resto, non fa altro che parlare di bullismo e di conflitto fra ragazzi che si ritrovano a crescere fra le vie di un’affollatissima Budapest. Ed ecco quindi che la “via Pál” e le altre vie attorno ad essa diventano identiche alle vie e viuzze che vivevamo in infanzia, sia passata essa in campagna od in città, ed ecco che i vari “János” e “Dezső” e “Ernő” perdono questi nomi cosi’ pesantemente magiari, e acquisiscono il nome e le fattezze delle persone che abbiamo conosciuto noi fra infanzia e adolescenza.
Lettura consigliatissima, che sia per l’infanzia o l’adolescenza, e che ha la fortuna di diventare un “classico” anche per adulti. La trovate edita dalle più grandi case editrici italiane (io l’ho letta nella traduzione di Einaudi) in qualsiasi grande catena di librerie anche in Italia.
Due settimane fa vi ho “accompagnati” fra le vie e fra le storie di questa piccola Szeged in cui mi ritrovo, oggi vi ho “accompagnati” fra le pagine più celebri della letteratura ungherese, sperando di avervi convinti a fare di almeno una di queste opere una delle vostre letture natalizie. Spero di “accompagnarvi” ancora nei meandri di qualcos’altro di magiaro nelle prossime settimane, ma per ora smetto di scrivere e torno a leggere questo stupendo Petőfi.
Köszönöm a figyelmet és viszonthallásra.
Grazie per l’attenzione, ed a risentirci.

