CURARE LA MALINCONIA

Una delle parole più curiose della lingua Italiana è “cura”. Come ben saprà chi ha utilizzato il vocabolario di Latino IL (oppure, avendo dimenticato a casa quel mattone strappato alla muraglia Cinese, l’Olivetti online) questo è un nome femminile della prima declinazione. Ma oltre il valore grammaticale, la prima diretta traduzione del termine è la cosa più interessante di questo lemma: “preoccupazione”. Eh si, perché “curare” vuol dire “essere preoccupato per”: essendo noi preoccupati, per esempio a causa di una malattia, attuiamo delle azioni atte ad eliminare la sorgente delle nostre ansie. Eppure nella nostra lingua Italiana il termine fugge da questa connotazione quasi tenebrosa ed un attimo spaventosa, per dischiudersi in un significato rassicurante e positivo. Un esempio fra tutti, per avere prova di ciò: “avrò cura di te” cantava il maestro Battiato, ed intere schiere ad emozionarsi dinanzi a cotanto soavi e dolci parole.
La malinconia è, invece, quel sentimento di anelito verso un qualcosa che ci sembra distante (vuoi nel tempo come nello spazio) ma che prima avevamo o ci sembrava di possedere. Questa è invece una parola che generalmente ha una sfumatura più negativa: non cattiva, attenzione, ma quantomeno non evoca direttamente immagini positive. Probabilmente si penserà ad un ragazzetto, magari malaticcio, col gomito appoggiato su di un muricciolo di campagna che, appesantito dal pensare, rimembra quell’attimo d’amore che mai più ritornerà. Oppure si rievocheranno le amicizie perdute, i sospiri trasportati via dal vento, le lacrime versate in un grande mare salato. Tutte immagini che, in un senso o nell’altro, non sono proprio la prima cosa che ci viene in mente se ci viene chiesto di pensare a qualcosa di positivo.
Ma qui noi vogliamo riscoprire l’aspetto più bello della malinconia: vogliamo difendere questo sentimento naturale della nostra indole più pura. Noi vogliamo qui dire che la malinconia va curata. Ma curare la malinconia non vuole stare ad indicare la malinconia come una malattia da cui bisogna guarire perché brutta cosa, all’opposto: rappresenta uno stato d’animo che bisogna imparare a custodire, coltivare, potare anche; un po’ come si farebbe con una pianta. La malinconia non è solo il pianto od il sospiro, ma è soprattutto il motivo dietro a queste azioni: l’affetto che si è provato per la sorgente di questa emozione. E’ la casetta dispersa nel piccolo villaggio, tanto lontana dalla grande metropoli in cui si vive. Sono gli amici e le amiche che non sono con noi, perché si sono seguite strade differenti ma verso cui si prova profonda stima, e che rimangono ancora nelle rimembranze. E’ l’amore sognato, che rimane in noi come esperienza formante, un dolce-amaro per le nostre meningi. E’ la giovinezza vissuta, la sua spensieratezza, che ora si ammira, commenta e ricorda con un nostalgico sorriso. Sono gli scontri tramutati in amicizia, gli screzi divenuti affiatamento, le baruffe mutate in battute. Ma sono anche le lotte fallite e perse, che però animano ancora in noi la fiamma della rivalsa. Sono le sconfitte sofferte, che nel loro ricordo ci spronano a tentare e ritentare.
E perciò vi rivolgo questo spensierato suggerimento: abbiate la malinconia come amica. Fate in modo che ella possa farvi da navicella, e portarvi in giro con la mente nel tempo e nello spazio. Lasciatevi sedurre dalla sua lente dolciastra ed offuscata degli eventi, per apprezzare ancora di più il presente che vi trovate a vivere grazie a tutto ciò che vi fa vedere.

Andrea Calò
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