“Per me i partiti sono come i taxi: li utilizzo, pago il dovuto, e scendo.”
Il 27 di Ottobre del 1962, esattamente 62 anni fa, un uomo si recò a prendere il suo jet privato all’aeroporto di Catania una volta terminati i suoi impegni lavorativi. Il piccolo aereo aziendale sul quale viaggiava portava sulla coda, dipinto, la figura di un cane a sei zampe nero su campo giallo ed era diretto a Milano. Quell’aereo però non arrivò mai a poggiarsi sulla pista dell’aeroporto di Linate ma finì invece per terminare il proprio volo schiantandosi in un campo della campagna lodigiana. L’uomo che viaggiava a bordo si chiamava Enrico Mattei, in quel momento il più potente dirigente pubblico italiano. Insieme a lui, nello schianto perirono anche il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale, salito a bordo con Mattei per intervistarlo. A molti parve chiaro che non si poteva trattare di un semplice incidente, ma piuttosto di un attentato. Lo si sarebbe dedotto dalla disposizione sul terreno dei rottami e soprattutto dalle diverse testimonianze oculari che parlavano di un’esplosione in volo, causata probabilmente da una carica esplosiva. Ma a suffragare la tesi di un attentato a Mattei, oltre ai dettagli dello schianto, potrebbe essere più di tutto la sua stessa biografia.
Enrico Mattei infatti è stato, come ha scritto il giornalista Mario Galloni, “Il capitano d’industria che avrebbe fatto dell’Eni una multinazionale del petrolio e portato l’Italia, un paese senza energia, a giocare le sue carte al tavolo del mercato internazionale degli idrocarburi” (BBC History n°138). Mattei era marchigiano, di Acqualagna, e proveniva da una famiglia modesta. Dopo le scuole professionali fu subito avviato al lavoro operaio riuscendo poi però a fare carriera: passò dall’essere contabile ad agente di commercio fino poi a diventare responsabile di una sua attività operativa nel settore chimico. Durante la guerra fu partigiano nelle fila dei cattolici e divenne dunque l’uomo di riferimento della neonata Democrazia Cristiana nel Comitato di liberazione nazionale. E proprio con la DC al governo, a guerra terminata, a Mattei viene affidato il compito di commissario liquidatore dell’Agip (Azienda Generale Italiana Petroli). Quest’ultima era nata in epoca fascista, nel 1926, in un momento in cui il governo Mussolini si rese conto del fallimento della politica liberista in campo petrolifero. L’Agip, come compagnia di stato, aveva il compito di realizzare quell’aumento della produzione interna che fino a quel momento era solamente stata auspicata. In realtà, questo esperimento fu un vero fallimento, dato che portò solamente ad un enorme sperpero di denari pubblici per il soccorso di patrimoni privati che erano, guarda caso, ben rappresentati all’interno del consiglio d’amministrazione della società. Alla fine della guerra, con Mattei liquidatore, questa azienda statale era considerata un vecchio “carrozzone fascista” privo di utilità da parte delle sinistre. Anche gli americani spingevano verso la sua chiusura, ma per poter mettere le mani sui pozzi e sulle ricerche Agip. Mattei però riuscì a tenerla aperta, intuendo che era inutile cercare in Italia un petrolio che sarebbe stato scarso e fuori mercato e che fosse più che altro necessario concentrarsi sulla ricerca di giacimenti di gas, capaci di alimentare le industrie. La partita la vinse utilizzando i soldi dati in prestito dalle banche mentre lo stato italiano, di fatto, non volle rischiarci una lira. Alla fine, la DC, sotto pressione americana, lo mise alla porta. Sarebbe però rientrato dopo le elezioni del 1948 quando Marcello Boldrini, suo compagno partigiano, fu nominato presidente. Sotto la guida di Mattei si susseguiranno poi tutta una serie di scoperte di giacimenti in suolo italiano che porteranno il paese a dotarsi di una delle più complesse reti di gasdotti al mondo. Il manager si muoveva con grande spregiudicatezza: i tecnici per la rete dei gasdotti lavoravano di notte e i sindaci venivano messi al corrente la mattina dopo, a lavori conclusi.
Nel 1949 l’Agip scopre un giacimento petrolifero a Cortemaggiore, vicino a Piacenza, guadagnandosi l’attenzione di tutti i giornali. Mattei, d’altra parte, seppe fare del buon marketing, alimentando il sogno dell’autosufficienza energetica italiana e guadagnandosi la stima della sinistra che sognava lo sgarbo agli americani così come della destra che desiderava l’autarchia. Nel 1953 fece quindi nascere l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) con il suo simbolo, il cane a sei zampe nero su campo giallo.
Il giacimento di Cortemaggiore si ridusse però ad un rivoletto insignificante e fu necessario trovare un modo vantaggioso per rifornire l’Italia di petrolio, in un periodo in cui ci si stava avviando verso il boom economico, verso l’industrializzazione e la motorizzazione di massa. L’idea di Mattei fu estremamente semplice e proprio per questo rivoluzionaria per l’epoca: rivolgersi verso la sponda orientale del mediterraneo e trattare direttamente con i paesi produttori bypassando il monopolio delle “Sette Sorelle”, le potentissime compagnie petrolifere che si spartivano il mercato del petrolio fissando peraltro il prezzo del barile. Queste erano: le statunitensi Exxon, Mobil, Texaco, Standard oil of California (Socal), Gulf oil, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e la britannica British petroleum.
Mattei si presentò ai paesi produttori arabi non con quella superiorità ricolma ancora di spirito coloniale che caratterizzava i rappresentanti delle “Sette Sorelle”, ma guardando a loro come a dei potenziali soci paritari. Con la costruzione di rapporti di questo tipo, a tali paesi sarebbe stata offerta la possibilità di uno sviluppo economico legato al petrolio accompagnato da capitali italiani. Una grande possibilità di riscatto per paesi dell’era post – coloniale (siamo infatti, negli anni ’50 – ’60, in piena epoca di decolonizzazione). Così facendo l’Eni ebbe accordi con la Tunisia, l’Iran, la Libia, l’Egitto e il Marocco. Obbiettivo dell’Eni, infatti, in quanto ente di stato, era quello di garantire all’Italia un approvvigionamento energetico ad un prezzo equo e non di puntare dunque al semplice arricchimento delle società, come avveniva per le “Sette sorelle”.
Un’altra scelta clamorosa fatta appositamente per aggirare il cartello delle big companies fu l’andare a comprare il petrolio, in piena Guerra Fredda, dall’Unione Sovietica. Questo fu reso possibile anche grazie alla mediazione di Luigi Longo, ex capo partigiano e dirigente di spicco del Partito Comunista Italiano. Gli italiani così, oltre ad avere petrolio ad un buon prezzo, poterono anche differenziare i fornitori mentre i sovietici dal canto loro ebbero in concessione tecnologie italiane e anche nuove navi petroliere varate dall’italiana Fincantieri. Chiaramente al dirigente italiano arrivò pure l’accusa di essere “filosovietico” per questo. La sua, dunque, è una storia fatta di volontà di indipendenza, di autonomia e dunque di sfida diretta a quello che era l’ordine precostituito. Aveva infatti sfidato dapprima la volontà del suo partito e degli americani e poi il potente cartello delle “Sette sorelle”, trattando da pari interlocutori soggetti quali i paesi post – coloniali o l’Urss e superando i veti del mondo di allora. E forse Mattei ha pagato con la vita l’aver saputo sfidare delle barriere che allora non potevano essere valicate e imposte da poteri che erano di gran lunga più forti di lui, dell’Eni e della giovane Repubblica Italiana. Non esiste ad oggi una verità giudiziaria, non ci sono mai stabilite le responsabilità né tantomeno ci sono stati dei sospettati. C’è però una ricostruzione storica attendibile e condivisa dalla giustizia italiana. Purtroppo, come in tanti altri casi nella storia del ‘900 italiano, è “solo” una ricostruzione storica e non una sentenza che indichi moventi, mandanti ed esecutori materiali.
