Ogni religione ha al suo interno un ventaglio di pratiche, di tradizioni, di “strade” percorribili, e, pensando a tutte quelle strade che possono essere definite come misticismo (un termine questo non ancora esattamente definito almeno accademicamente) nelle nostre religioni abramitiche, si pensa sempre a dei percorsi che siano fatti in estasi (si pensi ad esempio alle sante mistiche italiane come Santa Caterina da Siena o Santa Teresa d’Avila), e che siano “in salita”, “in ascesa”, come potrebbe essere quella della Scala del Paradiso di San Giovanni Climaco o anche la Kabbalah.
Ma é proprio guardando alle origini di quest’ultima che si puo’ trovare nelle prime radici del misticismo ebraico e giudaico un tipo di misticismo che invece segue una direzione inversa: verso il basso. E’ quello che chiamiamo misticismo “della Merkavah”, “del carro divino” traducendo dall’ebraico, compiuto da un gruppo molto ampio e influente di individui detti “Yordeh Merkavah”, o appunto, i discendenti al carro divino.
Cerchiamo allora di approfondire, anche se in brevi righe e con una visione molto generale, quali sono le principali caratteristiche di questo movimento così centrale nella storia del misticismo ebraico, e quindi poi anche cristiano, partendo dalle sue prime origini, vedendone tutto il misticismo e l’influenza nel testo biblico insieme alla sua eredità nella religione ebraica medievale e contemporanea.
Il corpus di manoscritti sul quale possiamo studiare gli inizi di questo misticismo non é molto ampio, ma nemmeno indifferente. Sono in tutto 15 scritti, prodotti probabilmente durante il periodo della religione ebraica definito come “giudaismo del secondo tempio”, ovverosia fra la fine dell’esilio babilonese nel 597 A.C e la distruzione del secondo tempio ad opera dei romani nel 70, con l’inizio della diaspora.
Gli Yordeh Merkavah qui intraprendono un viaggio verso ed attraverso un luogo ben specifico, ovvero il palazzo divino con tutte le sue sale protette da guardiani angelici, e questo con un obiettivo ben specifico: arrivare a vedere, o almeno a percepire, il trono divino nella sua forma di carro. E’ un viaggio che ha sempre delle caratteristiche tipiche, che sono poi quelle che ci permettono anche accademicamente di definire la Merkavah come “misticismo”. Dapprima, le esperienze non sono narrate come descrizioni ideali di questo palazzo divino o come insiemi di simboli, ma sono percepite come
interamente reali e tangibili. Inoltre, questi testi spesso non sono semplici esegesi di quello che i mistici vivono, ma sono delle vere e proprie guide per come avventurarsi in questi palazzi e per come affrontare con successo le prove dei loro guardiani da superare, pena la morte o la completa follia. Infine, l’obiettivo dichiarato di questi testi é una unione mistica con il divino, benché non totale (probabilmente anche a causa della forza del monoteismo ebraico), con l’apoteosi raggiunta nel terzo libro di Enoch dove quest’ultimo, giunto al trono divino, viene reso un “YHVH Katan” ovvero un “piccolo Yahveh”.
I libri e i testi che fanno poi evolvere questo filone del misticismo ebraico sono moltissimi, scritti sia in ebraico, che aramaico, che greco, e che sono ora considerati per la maggior parte apocrifi ed esterni al testo cosiddetto “masoretico”, ovvero quello ufficiale della Bibbia ebraica. Fra questi testi, i filoni più importanti sono sicuramente la “Ma’aseh Merkavah” (L’opera del carro), i testi aventi come protagonista il Rabbi Akiva e infine lo Sefer Yetzirah. Meriterebbero un’analisi approfondita anche i testi di Enoch, personaggio su cui non solo si potrebbe scrivere un articolo come il presente ma intere tesi di laurea, e la letteratura estremamente simbolica della “Shi’ur Qomah” (misurazione del corpo), con il suo tentativo proibito nella religione ebraica di misurare il corpo di Dio, ma significherebbe divagare troppo (si lasciano dei riferimenti nella bibliografia sottostante).
La Ma’aseh Merkabah, portatrice di quello che è anche spesso chiamato gnosticismo giudaico, é a tutti gli effetti un compendio di tutti gli inni, tutte le prove, tutte le esperienze degli Yordeh Merkavah, raccolti con tutta probabilità dopo la sopracitata distruzione del secondo tempio, quasi come se narrare e ricordare le discese al palazzo di questi mistici fosse una sorta di compensazione per non poter più effettuare i pellegrinaggi al tempio, fondamentali per la religione ebraica del periodo. L’importanza di questo testo non é tanto dovuta alla sua diffusione al momento della stesura, che non pare esser stata così ampia, ma piuttosto al fatto di essere stata ripresa nel corso della storia dell’ebraismo, nello specifico
bel tono critico di Mosé Maimonide, di cui si parlerà più avanti.
La figura del Rabbi Akiva é sicuramente la principale e la più citata all’interno del Talmud. Nato Akiva ben Yoseph, il Rabbi in questione ha un’influenza enorme nella teologia e nella filosofia ebraica in generale. Per quanto riguarda la sua interazione con il misticismo della Merkavah, troviamo suoi testi sia nella Ma’aseh Merkabah di cui sopra, che inizia proprio con una domanda postagli da uno dei suoi discepoli su quali sono le “parole chiave” da usare per arrivare al trono divino, sia in generale in ogni testo inerente a questo misticismo, dal terzo libro di Enoch, al sopra citato Shi’ur Quomah, dove conferma che chiunque compia l’atto di misurare il corpo divino ha la certezza della vita dopo la morte. Queste sono solo due delle decine di istanze all’interno della letteratura della Merkavah che vedono apparire questo Rabbi.
Infine, fondamentale è lo Sefer Yetzirah, testo alla base del misticismo di stampo giudaico più conosciuto, la Kabbalah, tanto diffusasi fra medioevo e rinascimento anche in Europa grazie all’influenza di mistici ebrei della diaspora (come lo spagnolo Rabbi Bahye ben Asher) e non (come il nostrano Pico della Mirandola nelle sue “conclusiones philosophicae cabalisticae et theologicae”). Lo Sefer Yetzirah, tradotto Libro della Formazione, mette al centro proprio la tradizione mistica giudaica e, quindi, anche la tradizione ampiamente sviluppata della Merkavah: il concetto della creazione del mondo, compiutasi attraverso la combinazione da parte di Dio delle lettere dell’alfabeto, un qualcosa di caro al lessico e alla visione cosmogonica di questo misticismo di discesa verso il carro.
Da notare è pero’ che l’influenza della Merkavah non si limita al mondo chiuso ed ermetico dell’esoterismo e del misticismo, ma ha un impatto abbastanza forte da influenzare sia il Talmud, come detto sopra, sia le attuali liturgie ebraiche, ma anche e soprattutto direttamente il testo biblico, nella fattispecie in Ezechiele per l’antico testamento, e nella seconda lettera ai Corinzi dal lato del nuovo testamento.
L’impatto sulla visione mistica del profeta Ezechiele è sicuramente la più chiara ed evidente alla prima lettura. Fra i primissimi versi infatti leggiamo “Vidi qualcosa simile a un trono di zaffiro e su quello sedeva una figura dall’aspetto umano” (Ez 1;26, Bibbia Interconfessionale), e tutto il primo capitolo del libro é la ripresa precisa di moltissime istanze legate alla Merkavah, fossero soltanto i guardiani angelici di questo trono e le loro fattezze assai complesse e profondamente simboliche, con i guardiani del carro che hanno
quattro volti: uno umano, uno di leone, uno di toro ed uno di aquila, un simbolismo evidentemente caro anche al primissimo cristianesimo che ha fatto di queste diverse fattezze i simboli dei quattro evangelisti canonici.
Come già accennato, l’influenza della Merkavah sul cristianesimo non tocca “solamente” il simbolismo, ma anche direttamente il testo sacro. In ambito teologico si è infatti a lungo discusso dell’influsso di questo misticismo sulla visione descritta da San Paolo di Tarso nel dodicesimo capitolo della seconda lettera ai Corinzi, dove sta scritto “…Perciò vi parlerò delle visioni che il Signore mi ha concesse. Conosco un credente che quattordici anni or sono fu portato al terzo cielo” (2Cor 12; 1-2, Bibbia interconfessionale); l’idea di trovare delle influenze derivate dalla Merkavah nell’uso di un vocabolario cosi’ caro a questo
misticismo non puo’ poi che essere corroborato dal fatto che Paolo di Tarso, quando ancora era Saulo di Tarso, fosse non solo un ebreo, ma anche un ebreo estremamente colto ed interessato alle tradizioni della propria religione.
A conclusione di questo seppur breve elenco di influenze accettate ed incorporate alle volte più ed alle volte meno nelle tradizioni di riferimento, è interessante guardare ad almeno una voce che osteggia e critica l’insegnamento e l’influenza della Merkavah all’interno della religione. E si guarda alle parole non di una voce qualsiasi, ma della voce di Mosé Maimonide.
Mosè Maimonide, anche citato alle volte come Rambam, nasce a Cordova, in Spagna, nel 1135. Fu un sapiente filosofo, medico e teologo ebraico. Fuggito dall’Iberia islamica a causa della persecuzione almohade, e stabilitosi infine in Egitto, Maimonide scrisse opere fondamentali come la “Mishneh Torah”, una sistematica codificazione della legge ebraica, ma soprattutto la “Guida dei perplessi”, l’opera che più tratta del rapporto fra ebraismo e Merkavah ed il suo vero capolavoro teologico-filosofico in cui cerca di conciliare fede e ragione.
La critica di Maimonide a questo misticismo nel particolare si concentra nella critica all’uso nel conoscimento del divino dei percorsi descritti nella sopracitata “Ma’aseh Merkabah”. La sua opposizione a questo misticismo deriva dalla sua visione di una religione scoperta attraverso la natura ed il mondo percepibile e non attraverso la chiusura in sé. Maimonide giustifica questa sua concezione dell’esperienza religiosa partendo dalla scena del trentatreesimo capitolo dell’Esodo dove a Mosé vengono rivolte queste parole: “ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun’uomo puo’ vedermi e restare vivo”. Il filosofo ibero-giudaico chiarifica poi questa posizione con una metafora, sostenendo che la scoperta di Dio dovrebbe essere simile all’effetto che una fiamma fa sull’argilla: questa necessita di essere prima “addolcita” dall’acqua e successivamente “indurita” nel fuoco, il che vale anche per l’anima con il divino. Essa deve prima vederlo e scoprirlo nella natura, e solo successivamente puo’ contemplare di scoprirne
ulteriori dimensioni attraverso un’effettiva e informata chiusura in sé stessi nella riflessione silenziosa tipica e dell’ascesi e del misticismo.
Ecco quindi in breve che cosa fu ormai millenni di anni fa un misticismo unico nelle sue caratteristiche centrali rispetto ai più tipici misticismi: una discesa alla rivelazione piuttosto che un’ascesa, un disperato tentativo di conoscere il divino che sia per conoscerlo al punto di misurarlo o addirittura diventarne parte integrante. Il misticismo della Merkavah, che in tutta la sua peculiarità ha scosso le fondamenta teologico-religiose del sistema giudaico-cristiano e ancora oggi lascia la sua impronta nel concepire la religione per la maggior parte delle persone su questo globo.
Bibliografia, sitografia e videografia:
- Video-lezioni del Dr. Justin Sledge sul tema (sul canale YouTube Esoterica)
- Gruenwald, Ithamar. Apocalyptic and Merkavah Mysticism. E.J. Brill, 1980.
- Segal, Alan F. Paul the Convert: The Apostolate and Apostasy of Saul the Pharisee.
Yale University Press, 1990. - https://plato.stanford.edu/entries/maimonides/#:~:text=To%20illustrate%20this%20po
int%2C%20he,God’s%20essence%20undescribed%20and%20unknowable. - Maimonide, Mosé. La Guida Dei Perplessi. Edited by Mauro Zonta, UTET, 2003.
- Pagine Wikipedia dei concetti e dei nomi principali
